La mappa del rischio sismico del Lazio. La leggenda aiuta a percepire quale siano le zone più esposte. Stilata nel 2014, servì per incentrare gli sforzi maggiori di messa in sicurezza per gli edifici pubblici. Torna oggi, forse a causa della preoccupazione, come monito per il da farsi sulla prevenzione.
Si va dal rosso porpora, per indicare le zone a maggiore rischio sismico, con le zone che vanno tra l’Aquilano e l’Alto reatino, tra il Sannio, la zona di Isernia, Cassino e il Sorano, nell’Abruzzo meridionale, nell’area di Sulmona, in diverse località del Frusinate e nella Valle del Salto distinte per essere quelle in allerta.
Le stesse zone nelle quali si trovano Amatrice ed Accumoli, zone nelle quali alla furia del sisma nulla ha resistito.
Sono ben 61 i centri nella regione accomunati da un valore, “il valore di accelerazione di picco maggiore o uguale a 0,200g”. La definizione serve per indicare il dato che fuoriesce dalla misurazione degli scuotimenti a cui possono essere soggetti gli edifici, e la “g” sta ad indicare l’accelerazione di gravità.
Ad Amatrice, ad esempio il “valore di accelerazione” del suolo è di 0,260g Accumoli ha 0,259g. Il primato ce l’ha San Biagio Saracinisco, 0,265g, e con esso alcuni comuni in provincia di Frosinone, da Vallerotonda ad Acquafondata, da Picinisco a Settefrati, da San Donato Val di Comino a Gallinaro e Villa Latina.
Vale la pena ricordare che ad oggi questi dati vengono fusi con uno studio storico degli ultimi 700 anni e vale ricordare ancor di più che la mappa e lo studio dei dati non sono un metodo scientifico per prevedere i terremoti, come vanno ripetendo i sismologi da giorni ormai.
Non ne sono immuni, come del resto l’Italia intera, i comuni dei Castelli Romani e dei Monti Prenestini.
Non un modo di prevedere i terremoti quindi, ma forse un modo per spingere le amministrazioni e le istituzioni a dotare i propri centri con piani antisismici e piani di emergenza e metterli in pratica coordinando gli uffici competenti, dotando le città di segnaletica apposita e istruendo uffici, apparati e cittadinanza sul da farsi nei casi di emergenza, proprio perché come molti sottolineano, l’organizzazione, in questi casi, risulta essere fondamentale.
Ad oggi un piano governativo esiste, con pochissimi soldi dentro ( 1 miliardo per l’Italia intera), soldi peraltro spesi in maniera poco oculata ( solo il 20% è stato speso negli ultimi 7 anni), al quale si va ad aggiungere un sistema burocratico macchinoso e farraginoso che ad oggi rallenta in maniera sostanziale il lavoro.