Il clamoroso risultato della Sardegna conferma che i voti si prendono alle urne non sulla carta. Ancora una volta l’arroganza ceda il passo alla democrazia reale
di Massimo Sbardella
Il clamoroso risultato elettorale della Sardegna scuote la politica nazionale e conferma, ancora una volta, che l’arroganza e la presunzione non pagano. La destra italiana, che già governava la Sardegna, ha dato vita ad un lungo (e squallido) braccio di ferro che ha portato la premier Giorgia Meloni a rivendicare, ed imporre, il proprio candidato Paolo Truzzu a scapito del presidente uscente (targato Lega) Christian Solinas.
Truzzu, il candidato imposto che perde voti a casa sua
La sensazione di essere invincibili ha tenuto comunque unita tutta la destra tanto che, in campagna elettorale, più volte i suoi leader hanno ironizzato sul centro sinistra diviso (con due candidati presidenti Alessandra Todde e Soru) contro l’unico, Paolo Truzzu, per tutti gli altri. Quando non si fanno i conti con i cittadini, però, dalle urne esce il risultato che non ti aspetti. E così, seppure per meno di 3000 preferenze totali, la candidata Todde ha battuto Truzzu, sconfiggendolo in primis a casa, a Cagliari, dove da sindaco uscente ha perso di ben 19 punti (37.992 voti pari al 53% per Todde contro i 24.792 voti e 34,6% di Truzzu).
Il suicidio della Regione Lazio un anno fa
Il risultato della Sardegna fa riflettere sul suicidio che, appena un anno fa, il centro sinistra ha consumato nel Lazio quando ha preferito abbandonare la strada del campo largo (Pd/M5S e centristi), con cui aveva governato per 5 anni Nicola Zingaretti, per tentare l’improbabile avventura solitaria di Alessio D’Amato (Pd/Azione) e Nicoletta Bianchi (M5S e sinistra) che ha finito per regalare a Francesco Rocca la vittoria e alla Regione Lazio un governo inesistente e inconsistente.
A Palestrina la spasmodica ricerca di alleanze non fa i conti con le urne
Scenari che, in vista delle prossime elezioni comunali, devono far riflettere anche a livello locale, tanto a destra quanto nel centro sinistra. Il giochetto del “mettere subito insieme 6000 voti per vincere al primo turno”, che da più parti anima la spasmodica ricerca di alleanze improbabili, ha lo stesso “baco” della Sardegna, ovvero non fa i conti con i voti delle urne bensì con le ipotesi strampalate che ciascuno fa nella propria testa e sulla carta. L’esperienza del 2019 quando, sulla carta, il centrosinistra aveva i numeri per sbancare al primo turno (ed è finita come sappiamo) non sembra aver insegnato niente a nessuno.
Per vincere le elezioni servono idee valide e persone credibili
In realtà, nel 2024, le elezioni si vincono con le idee, con le proposte e, non di meno, con la credibilità che potrà offrire chi sarà chiamato a guidare ogni coalizione. L’algebra, in politica, conta fino ad un certo punto. Se unisci due forze che valgono 5, ma che tra loro sono incompatibili, rischi che la somma non faccia dieci ma, a volte, fatici ad arrivare a 6.
Due i nodi da risolvere: le alleanze e i candidati
Mentre, quindi, circolano nomi di ogni tipo, dalla Sardegna arriva, forte, il monito a ragionare su due questioni fondamentali: quella delle alleanze, che devono essere sì ampie ma anche compatibili, e quella dei candidati, riconoscibili per quello che hanno fatto e per ciò che possono essere in grado di fare.