di Elvira Casale
L’Italia si ferma per ribadire anche attraverso l’astensione dal lavoro il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme. Aderiscono le principali sigle sindacali possibili disagi nei trasporti, ospedali e scuole.
“Se le nostre vite non valgono, noi non produciamo”. Questo lo slogan con cui oggi sono scese in piazza le donne nello sciopero, ribattezzato “Lotto marzo”, promosso in tutto il mondo dal Movimento Internazionale delle Donne, e in Italia da Non una di meno, a cui hanno aderito le principali sigle sindacali. L’obiettivo è ribadire, anche attraverso l’astensione dal lavoro, il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. Si fermano i trasporti, disagi nella scuola, ospedali. Al fianco delle donne anche ferrovieri, autisti dei bus, controllori dei voli aerei in una giornata di manifestazioni e disagi per chi deve spostarsi.
A Roma, nel settore trasporti, fasce garantite fino alle 8.30 e dalle 17 alle 20 per i servizi gestiti da Atac, ferrovie Roma-Lido, Roma-Viterbo e linee di Roma Tpl. Possibili disagi anche per treni e aerei: per Trenitalia possibili cancellazioni a partire dalla mezzanotte del 7 alle 21 dell’8 marzo. Garantite le Frecce.
Per gli organizzatori, “si sciopera dai ruoli, dai generi. Quando le donne si fermano, tutto ferma tutto. Non si cura, non si riproduce. E non si produce”. Oltre allo sciopero lavorativo, è possibile aderire anche non esercitando, a titolo esemplificativo, una delle tante attività domestiche o di cura che non vengono riconosciute né retribuite.
Tutto bello, sulla carta, ma personalmente mi chiedo quanto sia utile. Siamo sicuri che la modalità più corretta per far valere un diritto, e urlare il proprio No alla violenza alle donne, possa passare per il dare disagi a tutti i cittadini? E a tutte le donne? Siamo certi che, per affermare un principio, sia necessario rinunciare al diritto alla paga o non esercitare le attività domestiche?
C’è chi, come Selvaggia Lucarelli, lo ha definito uno sciopero “ad minchiam” e chi, come il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici, rincara: “Lo sciopero dell’8 marzo era un modo per accendere i riflettori. Non c’è dubbio che, averlo fatto diventare anche sciopero dei mezzi pubblici, rischi di produrre un effetto boomerang, trasformando la giornata in quella in cui si è bloccata la città, a partire dalle donne nella loro mobilità e possibilità di stare al centro”.