Pietro Pacifici si è spento dopo una lunga malattia. Pietro, rappresentante della terza generazione di macellai della famiglia, che porta avanti la tradizione del “Tordo Matto” (vecchia di oltre 500 anni).
La ricetta risale infatti al XVI secolo: un involtino di carne di cavallo molto speziato, aromatizzata con sale, peperoncino, coriandolo in grani frantumato e farcita con un battuto di grasso di prosciutto, aglio, prezzemolo e salvia.
Nel 2003 è stato registrato come prodotto tradizionale del Lazio proprio con la ricetta della Macelleria Pacifici, aperta 70 anni fa nel cuore di Zagarolo.
Pietro Pacifici per tutta la vita ha portato avanti la tradizione di famiglia.
La leggenda e la storia.

Storia e tradizione: In un saggio del 1820 (per il principe Rospigliosi), il medico condotto Paolo Montorsolo, scrive che la diffusione di questo piatto era dovuta alla numerosa presenza di cavalli e asini, impiegati soprattutto per i lavoro agricoli e il trasporto delle merci dalla campagna al paese.
Zagarolo, piccola comunità, dominata dallo strapotere della litigiosa famiglia Colonna, assisteva impotente agli eventi che ogni giorno cambiavano il corso della storia subendo conseguenze funeste causate da situazioni estranee ed essa.
Il famigerato Ugo di Moncada, inviato da Carlo V, re di Spagna, diede l’avvio ad una serie di intrighi in collaborazione con i Colonna. A questi si unirono i feroci lanzichenecchi assoldati da Giorgio von Frundsberg, che, in odio a Roma e a tutto ciò che era italiano, cominciarono le loro scorribande che precedettero il noto sacco di Roma.
Gli abitanti di Zagarolo fuggirono nella campagna circostante fino a quando gli eserciti in lotta si ritirarono, lasciando sul terreno oltre che ai morti anche numerosi feriti. Fra questi un lanzichenecco ferito che barcollando si avvicinò ad una capanna nei pressi di Zagarolo, seguito da un cavallo ferito che sanguinava da più parti e camminava con tre zampe.
Nella capanna si erano rifugiati due contadini che si spaventarono vedendo avvicinarsi questo armigero barbuto, e cercarono di nascondersi. ma quando capirono che si trattava di un soldato ferito lo accolsero nel loro rifugio e si prodigarono per curarlo; il soldato si preoccupò di fargli capire che aveva fame, chissà da quanto tempo non si cibava.
In quella capanna c’erano povere cose, ma di cibo nemmeno l’ombra, infatti i vecchi coniugi si arrangiavano a sopravvivere con un po’ di verdura, qualche frutto e qualche uovo. Da offrire al soldato affamato c’era poco e niente; offrirono un po’ di verdura ma lui la rifiutò decisamente, cominciando a gridare con un incomprensibile linguaggio la parola “drossel”.
Provvidenzialmente il malconcio cavallo che lo seguiva morì proprio nei pressi della capanna, per l’abbondante perdita di sangue. alla vista di quella morte provvidenziale, all’anziana contadina, che come tutte le donne ne pensava sempre una più del diavolo, balenò un’idea geniale: intuì che lo sfortunato cavallo avrebbe risolto il problema.
Presero il povero cavallo, lo scuoiarono e lo squartarono. ridussero le sue saporite carni in fettine sottili, ne fecero degli involtini che misero ad arrostire, usando la punta della lancia dello sfortunato armigerato, come uno spiedo. dopo opportuna cottura li offrirono all’inquieto soldato nella speranza di calmare la sua insaziabile fame.
Ma quando sembrava che il problema fosse risolto l’irrequieto soldato ricominciò a sbraitare e fece capire che la carne non aveva sapore. La vecchietta cominciò a cercare dai vicini qualche condimento in cambio di un po’ di carne e riuscì a rimediare un po’ di lardo e varie spezie con i quali condì nuovi involtini.
Quando offrì questo “cibo miracoloso” al soldato questi ne mangiò avidamente bevendo un po’ di vino e mostrò di essere soddisfatto. Il soldato si ubriacò e cominciò a cantare la parola “drossel” fino a quando l’insaziabile lanzichenecco si addormentò.
Il mattino dopo la vecchietta andò a controllare la salute dell’arrogante ospite, ma dovette constatare con stupore che il soldato “matto”, come ormai tutti lo chiamavano, era scomparso.
In verità non se ne dispiacque molto, era finalmente finito l’incubo, ma memore della ricetta miracolosa che aveva calmato le furie dell’armigero, si diede a confezionare molti involtini di carne. Invitò tutti i vicini e con essi festeggio la fine del doloroso evento bellico mangiando il manicaretto con gusto e appetito.
Terminate le infauste giornate dei combattimenti,la popolazione costretta ad evacuare l’abitato rientrò nelle abitazioni abbandonate.
Rientrarono anche i vecchietti protagonisti della vicenda del lanzichenecco e raccontarono il tragicomico episodio del quale erano stati protagonisti, insegnando a tutti la ricetta miracolosa che aveva calmato l’inquieto soldato, ormai ricordato come soldato “matto” che tra i fumi del vino cantava un motivo ripetendo continuamente la parola “drossel”.
E’ ovvio che non ci volle molto per sapere il significato di questa enigmatica parola che in lingua tedesca significa “tordo”.
Pertanto l’originale ricetta prese il nome di tordo del matto, semplificato in seguito “tordo matto”.
Leggi anche: