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Cronaca

Ma i bambini che fine hanno fatto? – Cronaca di una quarantena

Da quando sono state chiuse le scuole dei bambini non se ne è parlato più, se non per le difficoltà di questo nostro paese nel rincorrere una digitalizzazione utile al proseguimento delle lezioni di questo infausto anno scolastico, se non per le mille difficoltà dei genitori nel rendere normale ciò che di normale non ha nulla: l’essere rinchiusi dentro casa a causa di una pandemia.

I bambini che fine hanno fatto? Oggi che si parla di riapertura la domanda rimane sospesa e va a fare il paio con l’altro grande quesito: ora che mamma e papà rinizieranno a lavorare che fine faranno i bambini?

Tutti i genitori hanno avuto a che fare con le difficoltà di tenere i propri bambini attivi. Ne hanno escogitate di tutti i colori, hanno cucinato con loro, inventato mille giochi, letto, visto film, creato, passato del tempo che forse nel tram tram quotidiano di quella “normalità”, alla quale tutti sogniamo (almeno un po’) di ritornare, non abbiamo mai avuto. Questo se vogliamo, lo annoveriamo tra gli effetti positivi di ricaduta di questa emergenza.

Ma i bambini, si proprio loro, che fine hanno fatto? Perché da quando è iniziata l’emergenza, giustamente abbiamo avuto priorità come la salute nazionale, l’economia, la preoccupazione degli anziani nelle RSA, il ritorno al posto di lavoro (altrimenti chi metterà il pane sulla tavola?) ma altrettanto ingiustamente direi, non abbiamo avuto la preoccupazione (come paese) di pensare il futuro prossimo dei nostri ragazzi.

Ma i bambini e i ragazzi hanno fatto da sottofondo a questa emergenza, non sono mai stati i veri protagonisti delle nostre grandi preoccupazioni. Eppure ci sono, disturbano le nostre giornate di “smart working” (che brutta parola!) hanno macchiato tutti i nostri divani, reso casa una giungla tra giochi, colori, computer, televisione, richieste continue. Sono li, vogliono vivere, richiedono attenzioni, hanno bisogno, proprio come noi, anzi, molto più di noi, della libertà di poter tornare a giocare liberi all’aperto, di ritrovarsi con i propri compagni, con i propri insegnanti, a rifare sport, di tornare a stupirsi come solo loro sanno fare (e in tutto questo noi, poveri adulti, non possiamo che osservarli, con un mix di tenerezza e forse di ricordi, un mix simile all’invidia di un tempo che non tornerà più).

I nostri bambini e ragazzi avranno a che fare con un mondo che non sarà più lo stesso, una scuola che non sarà più la stessa, comportamenti ai quali adattarsi, nuove preoccupazioni che andranno ad accatastarsi a quelle che ahimè rovinano le notti dei genitori.

I bambini non hanno mai aperto i tg (ma l’hanno aperto cani e gatti ingiustamente accusati di trasmettere il Covid-19) non hanno mai occupato le prime pagine dei nostri giornali, non hanno mai incarnato la vera grande preoccupazione di questo beneamato paese. Ma loro ci sono, sono 7.599.259 gli studenti italiani, bambini e ragazzi di ogni età, che a differenza degli studenti e degli scolari di altri paesi, non torneranno a scuola, non presto.

Che fine faranno i nostri bambini e ragazzi dopo la fase di riapertura? Ancora a casa, con i nonni, con le baby sitter (per chi oggi può permettersele). Faranno da coda a questa emergenza, perché se in Europa la ripartenza dell’economia (Francia, Danimarca e Germania ne sono l’esempio) va a braccetto con la ripartenza delle scuole, da noi no.

Diciamocelo, la parte più giovane di questo paese non è mai stata una priorità della politica, basti vedere in che stato sono le scuole della penisola, di quanto questo paese spenda in istruzione, ricerca e sport, luoghi di aggregazione, opportunità, accesso al mondo del lavoro.

No, non lo è mai stata. Non si voglia che un giorno ci si ritrovi (e l’effetto della fuga dall’Italia dei più grandi è il grande campanello d’allarme) a dover fronteggiare un’altra emergenza come il disastro della nostra sanità: taglio dei posti letto, chiusura di ospedali, taglio dei fondi, mancanza di turnover (con conseguente innalzamento dell’età media dei nostri operatori sanitari), accesso alle facoltà di medicina praticamente reso un inferno.

Una sanità che ha “tenuto botta” ma alla quale la politica deve tanto, a partire dalle scuse e da un cambio di rotta epocale. Purtroppo questo non è un paese per giovani, ne abbiamo avuto ancora una volta conferma.

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