Identificati i componenti di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti: 9 persone finite agli arresti, sequestrati 2,5 milioni di euro e 4 società.
Colleferro. Sono stati identificati i componenti di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito transfrontaliero di rifiuti, smaltimento illecito di rifiuti, sostituzione di persona e trasferimento fraudolento di valori con un’operazione condotta dalla Squadra mobile e dal Nucleo investigativo di polizia ambientale agroalimentare e forestale di Frosinone.
Nove persone residenti tra il Lazio, la Campania e il Friuli Venezia Giulia, sono finite agli arresti domiciliari mentre quattro società e circa due milioni e mezzo di euro tra contanti e rapporti finanziari, sono stati sequestrati.
L’indagine trae origine dagli accertamenti successivi a un vasto incendio divampato il 23 giugno 2019 all’interno di un impianto di rifiuti nell’area industriale di Frosinone.
Dall’attività svolta, infatti, è emersa una forte e stabile collaborazione tra gli amministratori occulti dell’impianto cittadino andato distrutto, le varie società campane che conferivano i rifiuti e i gestori dei tanti siti di smaltimento e recupero finale degli stessi.
Un imprenditore frusinate e i suoi collaboratori, attraverso diverse società di intermediazione campane, era riuscito ad accettare dalla Campania ingenti quantità di rifiuti che invece, dovevano essere lavorati in quella regione.
Il passaggio transregionale del rifiuto veniva effettuato mediante l’artificioso cambiamento del codice identificativo dello stesso.
I rifiuti urbani venivano riclassificati in rifiuto speciale senza subire un trattamento che ne modificasse realmente le caratteristiche e la composizione, aggirando così la normativa che vieta lo smaltimento dei rifiuti urbani fuori dalla regione di provenienza.
La cooperazione tra gli indagati ha permesso il conseguimento di un ingiusto profitto per tutte le parti coinvolte poiché i rifiuti che rientravano classificati in quel modo sono difficili da gestire e hanno un costo di smaltimento molto elevato.
In definitiva i rifiuti provenienti dalla Campania, da qualificarsi invece come “urbani” nonostante il cambio del codice identificativo, transitavano con semplici operazioni di stoccaggio, senza dunque alcun trattamento presso l’impianto di Frosinone, al fine di farne perdere le tracce; da qui venivano poi trasportati in altro impianto a Cisterna di Latina, e infine, senza ulteriore trattamento, smaltiti come scarti di lavorazione presso una discarica di Colleferro.
Il totale del quantitativo dei rifiuti erroneamente classificati ammonta a circa 2.550 tonnellate.
Le indagini hanno accertato che l’incendio dell’impianto di Frosinone non ha segnato la fine del traffico illecito dei rifiuti: l’organizzazione delineatasi intorno all’impianto ciociaro, con a capo un imprenditore locale e un imprenditore campano quali dominus occulti, ha continuato ad operare su tutto il territorio nazionale e anche internazionale.
I due infatti hanno continuato la loro attività di intermediazione e al contempo si sono dedicati alla ricerca di un sito da trasformare nel nuovo centro dei loro affari; la scelta è caduta su un capannone ad Aviano in provincia di Pordenone.
In particolare, il sito di Aviano, in violazione delle prescrizioni riportate nell’autorizzazione detenuta dalla società e delle normative che regolamentano la gestione dei rifiuti, veniva stabilmente utilizzato per stoccare abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti misti di ogni genere, compresi quelli ospedalieri, accatastati ben oltre la capacità consentita, falsamente indicati come plastica e gomma, provenienti da svariati impianti dislocati sul territorio nazionale.
Parte dei rifiuti accumulati presso il citato impianto, inoltre, senza essere sottoposti alla benché minima operazione di selezione, venivano poi illegalmente redistribuiti presso ulteriori impianti gestiti da soggetti compiacenti, siti anche al di fuori dei confini nazionali, come in Ungheria o Repubblica Ceca, con il medesimo stratagemma della falsificazione del codice identificativo della tipologia dei rifiuti.
C.S.