E’ stato un Palestrina coraggioso e Gagliardo

di Massimiliano Rosicarelli

Il saluto al capitano dei prenestini che lascia il basket giocato dopo una splendida carriera nella palla a spicchi

Quando il suono della sirena, dopo il supplementare tra Palestrina e Napoli, ha sancito la vittoria dei partenopei, mentre da una parte del PalaIaia circa 200 napoletani si sono messi a festeggiare i propri beniamini, per l’accesso alle finali di Montecatini, gli altri mille presenti, rigorosamente arancioverdi, hanno alzato un coro forte, fortissimo, assordante, “Pippo, Pippo, uno di noi… Pippo uno di noi”. Era rivolto al capitano, Filippo Gagliardo, che ha disputato l’ultima partita di basket giocato, al termine di una bellissima carriera che lo ha visto calcare i parquet della penisola e che è diventato, di fatto, un figlio di Palestrina a tutti gli effetti.

Filippo Gagliardo ringrazia, sorride, attende il naturale spegnersi delle voci. Ma il coro non si spegne, anzi continua e le voci aumentano, lo scroscio delle mani, l’applauso della gente continua più forte. Lui non sa cosa fare perché ha ancora la rabbia della sconfitta, la rabbia di non aver potuto portare il Palestrina a gara 4. Il coro aumenta e, piano piano, si trasforma. Non è una questione di volume. È qualcos’altro. Difficile qui, adesso, descriverlo per come lo abbiamo vissuto tutti lì, dentro al PalaIaia. Verrebbe da dire: in un clima davvero Gagliardo. Ma qualcosa succede, è chiaro, nitido, reale. Come quando si raggiunge una certa temperatura e la natura delle cose cambia, si trasforma. Lo capiamo tutti allo stesso modo nello stesso momento. Filippo Gagliardo arriva nel cuore del caldissimo tifo arancioverde e si commuove. Il pudore gli impedisce di piangere, torna ad applaudire la sua gente che lo ha acclamato sin dal suo arrivo a Palestrina, perchè solo chi indossa con rispetto questa gloriosa casacca ne comprende il reale significato e il vanto di averla indossata con tenacia, dignità, onestà e vanto. Ma l’onda continua, cresce.

I compagni gli dicono che deve fare qualcosa, non può restare lì e basta. Lui li guarda, quasi con timidezza. Inizia un lento meraviglioso giro di campo, dalla tribuna centrale dando la mano a tutti, sino al cuore di quella gente che per prima gli ha innalzato il coro Pippo Pippo. In tutto il PalaIaia non c’è un singolo individuo con gli occhi asciutti e con le donne a immortalare l’immagine del gigante buono che piange di commozione, felice di quanto bene gli vuole e sempre gli vorrà la Palestrina seria. E’ un giro di parquet che dura tantissimo, questo, col primo allenamento in casacca prenestina, la prima gara ufficiale, il primo canestro, la prima trasferta, la prima di una lunga serie di vittorie, le sconfitte che bruciano, le finali vinte, le finali perse; l’ingiustizia per un fallo che non c’era; la serie A sfiorata col Palestrina, gli acciacchi svaniti appena la gente di Palestrina lo ha sempre osannato anche quando il ferro negava la gioa del canestro, quel canestro da 3 col dito ad indicare al suo amore di sempre, io ci sono anche e soprattutto per Te.

Quell’urlo, la rabbia, il dolore per un grave lutto. L’amore della gente e il suo per Palestrina. Anni della nostra vita prenestina con Te che hai scritto tante, tantissime pagine di sport e di insegnamento ai più giovani sino al 2 giugno e al suono della sirena che ha sancito, per te, lo stop ufficiale col basket giocato ma anche il suono della sirena, la chiamata, chissà, in giacca e cravatta nello staff del Palestrina basket di domattina.
Grazie capitano.

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